Domenica 6 Luglio 2025 Icona della Madonna di Vladimir

Tutte le Icone antiche, specialmente quelle ritenute miracolose, verso le quali, la devozione del popolo è molto forte, hanno in comune la tradizione che le vuole dipinte da San Luca. Questa tradizione, può essere considerata vera se si considera San Luca, non come personaggio storico in quanto tale, ma come esempio dell’iconografo perfetto, cioè colui che, dopo la preghiera e il “digiuno degli occhi” riceve la Grazia dello Spirito e divenendo il “dito di Dio”, “scrive” su una tavola di legno quella Luce increata diversamente non visibile ai nostri occhi. Per Grazia ed attraverso lo Spirito l’Immagine diviene prototipo e quindi apre una finestra sul Cielo. E’ interessante notare come, secondo le varie fonti di cui si dispone, San Luca, dipinse, secondo alcuni settanta icone, secondo altri sette, o addirittura, come qualcuno sostiene, soltanto tre: un’Odigitria, un’Elousa ed un’Icona del Segno. E’ molto probabile tuttavia che dietro questa tradizione si nasconda soltanto la dottrina evangelica del perdono. Le Icone, infatti, servono ad avvicinarsi a Dio, ma perché questo avvenga, il cuore del fedele che le contempla deve essere puro e diviene quindi necessario raggiungere questa purezza attraverso il perdono divino. La tradizione vuole che la versione originale di questa Icona, sia stata dipinta dal Santo Evangelista, su una tavola di proprietà della Sacra Famiglia di Nazareth, quando la Vergine, era ancora in vita. Da Gerusalemme, sarebbe stata portata a Costantinopoli e posta in venerazione nella chiesa detta dell’Elousa, fatta costruire da Giovanni II Comneno (1118-1143). Con maggiore probabilità, tuttavia, la storia di questa Icona inizia invece, proprio a Costantinopoli quando un “San Luca” inteso, appunto, come un pio iconografo, la dipinse. Qualche anno dopo, l’Icona venne portata in Russia, quando Luca, Patriarca di Costantinopoli, la donò a Jurij Dolgorukij, principe di Kiev, passato alla storia come il fondatore di Mosca. L’Icona costantinopolitana venne accolta dal principe con il massimo degli onori e collocata a Vishgorod, dove, a seguito di numerosi miracoli ad essa attribuiti, divenne oggetto di grande venerazione. Al principe Jurij successe il figlio Andrej, detto Bogoljubskij (innamorato di Dio) per la sua grande devozione. Questi nel 1164 desiderando estendere i confini del proprio regno verso nord-est pensò di spostarne la capitale a Rostov e si mise così in viaggio per raggiungere la sua nuova capitale portando con sè l’Icona miracolosa. Durante il percorso, l’asina che portava l’Icona, si fermò e non ne volle più sapere di spostarsi da quel punto. Come sappiamo, i fedeli del tempo erano ben avvezzi a questi fenomeni e puntualmente Andrej, interpretò il rifiuto di muoversi dell’asina, come la volontà della Santissima Vergine, di fermarsi in questo luogo, chiamato Vladimir indicando che vi doveva essere edificata la capitale del nuovo regno. L’Icona, venne presto collocata nel posto d’onore della chiesa della Dormizione e là dove i carriaggi si erano fermati, Andrej, fece edificare la propria residenza ed un monastero dedicato alla Madonna. Da allora quel luogo porta ancora il suo nome: Bogoljubovo. L’Icona, rimase a Vladimir, per ben duecento anni e da questa città prese il nome. Una cronaca del 1395 narra che durante una scorreria, i Tartari, fecero irruzione nella cattedrale della Dormizione, ove fecero bottino delle cornici in oro e argento delle Icone. Il famoso “Tamerlano” Temir Aksak in persona era alla testa dell’orda barbarica, che minacciava l’intera Russia, contro di lui si mosse il principe di Mosca, Vasilij Dmitrievic. Il principe russo con il suo esercito prese posizione sulla riva del fiume Oka ma la Russia in quell’epoca, era sconvolta da continui disordini interni, quindi Vasilij, poteva fare affidamento più su Dio, che sugli uomini che potessero giungere in suo aiuto. Fu così che il Metropolita Kiprian, capo della Chiesa russa, gli fece memoria della miracolosa Icona di Vladimir e di come la Vergine, avesse protetto la città di Vladimir, nella guerra contro i nemici bulgari, o come l’Icona, fosse rimasta incolume durante l’incendio della chiesa dove era custodita ed ancora durante l’invasione tartaro mongola, nel 1185. Il principe diede quindi immancabilmente ordine di trasportare la sacra Immagine a Mosca. Nel giorno della Dormizione della Santissima Madre di Dio, festa cui era dedicata la cattedrale di Vladimir, il Metropolita celebrò un Te Deum di ringraziamento e gli abitanti di Vladimir, con le lacrime agli occhi accompagnarono l’immagine miracolosa che stava prendendo la strada di Mosca. Il convoglio, impiegò dieci giorni per raggiungere infine i confini di Mosca. E qui alle porte della città, avvenne il solenne incontro degli abitanti di Mosca con l’icona e per questo da allora le porte vennero chiamate Sretenskie “dell’incontro” ed in seguito anche la via venne chiamata Sretenka e vi venne fondato un monastero in memoria dell’Incontro del popolo moscovita con l’icona di Vladimir, che venne portata solennemente al Cremlino, nella cattedrale della Dormizione. Giorno e notte venivano ufficiati Te Deum davanti all’immagine della Purissima, chiedendo l’intercessione della Madre di Dio e la grazia del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo. Puntualmente il miracolo avvenne. Tamerlano, infatti, era già pronto a sferrare l’attacco, quando gli apparve in sogno la Vergine attorniata da forze celesti, che gli intimava una immediata ritirata dalla Russia. Tamerlano, comprese chi stava per sfidare e decise di levare le tende, per ritirarsi dalla Russia, senza colpo ferire. A Mosca, fu un tripudio di gioia e per molti giorni vennero cantati Te Deum di ringraziamento, mentre chiunque passasse di fronte all’Icona, si inchinava per ben dieci volte. Non appena si furono ritirati i Tartari, a Mosca, giunse una delegazione della città di Vladimir, che chiedeva la restituzione dell’Icona, ma Vasilij, che nella sacra Immagine, vedeva un segno particolare della protezione di Maria, non voleva in nessun modo restituirla agli antichi proprietari. Fu ancora una volta il Metropolita Kiprian, rimettendo la questione nella mani della Santa Vergine, a trovare la soluzione di quello che stava per diventare un pericoloso conflitto interno. Venne fissata una notte in cui l’Icona, sarebbe rimasta chiusa nella Cattedrale mentre gli abitanti di Vladimir e di Mosca, avrebbero vegliato in preghiera, attendendo un segno dall’alto. La mattina successiva le delegazioni delle due città, si presentarono alle porte della Cattedrale della Dormizione. Una volta entrati, con loro grande meraviglia videro sull’Altare, due Icone assolutamente identiche. Il Metropolita gridò al miracolo e prontamente invitò la delegazione di Vladimir, a scegliere per prima l’Icona che desiderava, fra le due. Questi ultimi, scelsero quella che a loro parere sembrava l’originale, mentre i Moscoviti, si convinsero che quella autentica fosse in effetti quella rimasta a loro.
Solo al giorno d’oggi, è stata scoperta l’esistenza di due copie dell’Icona della Madonna di Vladimir, risalenti al XVI secolo, una di esse, opera del grande Andrej Rublev.
Nel 1480 a seguito delle ardenti preghiere dal principe Ivan III Vasil’evic (1462-1505), dei suoi soldati e di tutta la cittadinanza, la Vergine concesse la sua protezione mettendo in fuga la terribile Orda d’oro, capeggiata dal Khan Achmat e liberando Mosca. Ancora nel 1521 Mosca, venne salvata dall’incursione dei Tartari, sotto la guida del Khan di Crimea, Machmet-Ghirej. Gli invasori avendo visto la Madre di Dio, con uno spaventoso esercito avanzare contro di loro, ebbero paura e fuggirono immediatamente. L’icona del Cremlino rimase al suo posto fino al 14 dicembre 1918 sopravvivendo miracolosamente ad incendi e saccheggi e ricevendo gli omaggi e le suppliche dei devoti appartenenti a tutte le classi sociali. Alla presenza di questa Icona, venivano eletti ed incoronati gli zar. Il nome dei patriarchi della Chiesa Ortodossa Russa, veniva inciso sulla riza che proteggeva l’ampia cornice dell’Icona, che sopravvisse anche grazie alla sua fama, alla dissacratoria rivoluzione bolscevica. Le fu tolta la riza interamente coperta di pietre preziose e l’Icona venne restaurata per essere depositata presso il museo di stato della Galleria d’arte Tretjakov di Mosca, dove con grande frequenza i cittadini si recavano solo per pregare con intensa devozione dinanzi alla Madonna di Vladimir. Numerose testimonianze riferiscono che soprattutto durante il regime ateo, in attesa dell’autobus o passando nelle adiacenze, i devoti guardavano verso la Galleria facendo segni di croce e muovendo le labbra. Quanto ai turisti che entravano nella Galleria, per la visita, le donne si tiravano sul capo il foulard e gli uomini dimenticavano il cappello nel pullman, o inventavano piccoli stratagemmi per non tenerlo in testa. L’amore dei figli aveva dunque trasformato una galleria d’arte in una cattedrale, dove l’icona è rimasta fino all’aprile 1994, per essere poi affidata alla rinata Chiesa russa. Tutto questo per ringraziare l’amorosissima Madre di Dio, che nel periodo in cui i suoi figli ne avevano più bisogno non li ha mai voluti lasciare, continuando ad essere un richiamo alla fede in Dio, alla preghiera fiduciosa nell’aiuto e nella protezione di colei che è la Madre della Misericordia. dal punto di vista tecnico artistico, l’Icona della Madre di Dio di Vladimir, appartiene al modulo iconografico detto “Eleousa ” (della tenerezza) nel quale viene sottolineata la particolare dolcezza che esprimono la Madre ed il Bambino, nel loro abbraccio, culminante nel delicato contatto delle guance, profondo segno di unità e di vicinanza. Di dimensioni contenute (58 per 78 cm) estese a 70 per 100 cm, da una larga cornice, che la attornia, l’Icona si presenta senza la “riza” di metalli preziosi con cui era stata ricoperta e venerata per diversi secoli. L’insolito ampio bordo, che delimitava il perimetro esterno dell’Immagine, aveva oltre alla funzione di contenere i nomi dei vari patriarchi, che si sono susseguiti alla guida della Chiesa russa, anche quella di delimitare la realtà esterna, visibile con i nostri occhi, dalla realtà interna contenente l’Immagine (Eidos) che diversamente non apparterrebbe alla nostra realtà visibile. L’ampio bordo rappresenta quindi il lungo cammino verso la profonda comprensione del mistero teologico della relazione tra la sofferenza della Madre e la passione del Figlio, uniti nell’unico disegno del Padre nell’opera della redenzione. La sofferenza della passione è dunque intimamente legata alla verità dell’Incarnazione. A sostegno di questa tesi, si consideri che l’Icona, è dipinta anche sul retro e reca la scritta liturgica “IC XC- NIKA” (Gesù Cristo il vincitore) assieme all’immagine degli strumenti della passione: i chiodi, la corona di spine, la lancia, la canna con la spugna ed una grande croce che si eleva su di un altare. La presenza di tutti questi elementi fa supporre un uso processionale dell’Icona, durante l’ufficio della Passione. Il motivo della tenerezza, ha quindi un ruolo particolare nella liturgia della passione, come Egon Sendler, gesuita ed iconografo, fa notare nel suo libro intitolato: “Le icone bizantine della Madre di Dio”. L’abito della Madre di Dio è color porpora, reminescenza dell’abito che indossavano le imperatrici bizantine, contrassegnandone così la regalità. Le tre stelle sull’abito all’altezza del capo e delle spalle, indicano la triplice verginità di Maria prima, durante e dopo il parto e simboleggiano anche la luce di Dio, che illuminando la Vergine, fa nascere per noi il Salvatore. Gesù ha un collo smisuratamente gonfio simboleggiante lo stato di pienezza dello Spirito. Il Cristo, viene raffigurato con la corporatura di un dodicenne e con il volto da bambino, con un evidente rimando all’episodio del ritrovamento fra i dottori nel tempio descritto da + Luca 2,41-50 +:

«I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l’usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero le sue parole.»

E’ meraviglioso constatare come nell’Icona venga richiamata simultaneamente tutta la vicenda storica di Gesù, dall’Incarnazione alla Croce – Risurrezione quest’ultima così magistralmente espressa dai Volti sacri.
Il forte contrasto nelle espressioni dei volti di Maria triste e di Gesù, pieno di gioia, colpisce subito chi contempla questo capolavoro. Singolari appaiono anche le pose: statica e ben ferma la postura di Gesù, dinamica ed in movimento quella della Madre di Dio. La prima punto fermo di riferimento nell’universo, la seconda simboleggiante l’intero cammino della Chiesa, di cui Maria è la Madre. La fine del periodo iconoclasta, così come la nascita di una nuova scuola iconografica russa, hanno permesso l’introduzione di nuovi elementi sul piano dell’illuminazione. I volti, come la tunica di Gesù, emanano una intensa luce, spesso abbacinante. Il colore della pelle scura contrasta con i colpi di luce molto intensi, come quello sul naso della Vergine, o come le fortissime lumeggiature sulla tunica del Bambino, ciò per rendere l’idea dell’abbaglio che i nostri occhi avrebbero davanti ad una sorgente luminosa troppo intensa. Se, ad esempio, guardiamo direttamente il sole, abbiamo una esperienza analoga e vediamo il sole nero e tutto attorno scorgiamo un alone luminosissimo. Questo nuovo stile iconografico, porta con sé, il sapiente uso delle ombre, che conferiscono all’immagine un certo naturalismo. Il volto di Maria, sulla guancia in cui si uniscono i due volti, è “scritto” parzialmente nell’ombra, volendo così tradurre in immagine la promessa dell’angelo. Teneramente il Figlio, accoglie sotto la sua ombra la Madre proteggendola con amore infinito. E’ Il Bambino Gesù, che si dispone dolcemente a custodire l’umanità della Vergine ed attraverso di Lei l’intero genere umano. L’icona, propone quindi un definitivo rovesciamento di prospettiva: non è una madre che abbraccia il suo bambino e lo consola, ma piuttosto, un bambino che sostiene e consola una madre. Così come il Cristo sostiene e conforta la Chiesa, in cammino. Nella lingua russa, infatti, questo modello iconografico assume il nome di “Umilìenie” cioè “Colei per cui ci si intenerisce”, a differenza del corrispondente greco “Eleousa”: “Colei che si intenerisce”. Si osservi come Maria, non guarda Gesù, ma da Lui è guardata. La Madonna, rivolge il suo sguardo incredibilmente dolce e triste, verso il credente che contempla l’Icona ed attraverso di lui a tutta l’umanità. La tutta Pura, si rattrista per l’allontanamento degli uomini da Dio, causa unica dei loro fallimenti e delle sofferenze di cui il mondo è pieno. Si instaura così un intimo rapporto a tre, fra il Fedele che contempla, Maria e Gesù. Nasce un profondo dialogo spirituale in cui, prima a livello inconscio poi sempre più consapevole, il Fedele “percorre l’ampio bordo dell’Icona” fino a giungere alla profonda verità del Dolore e della Gioia della Redenzione. Triste e intimamente ferita, Maria, si china verso Gesù per cercare consolazione ed incontra il bambino che la illumina con la gioia. Lo sguardo del Bambino è tutto incentrato su quello della Madre ed esprime la compassione per coloro che soffrono. Non a caso dai Padri della Chiesa Dio, è detto: Philantropos, amante degli uomini. Cristo, soffre in tutti coloro che soffrono e con la sua Tenerezza, allevia il loro dolore. Nell’icona, la sofferenza si trasfigura nel più sublime amore, in vicinanza, in tenerezza. Maria, accompagnata dal Verbo, non è mai sola; si definisce in relazione al Figlio, è segnata dall’accoglienza in sé, dello Spirito. Non solo, ma questo sguardo profondissimo di Maria, che sembra perdersi nell’infinito, lo sentiamo allungarsi fino ai confini del mondo, proprio in questo momento, per abbracciare ogni uomo e ogni donna. Lo sguardo di Maria, è rivolto a tutti, abbraccia tutti nessuno escluso. Questo è il miracolo che ogni giorno compie il Signore, attraverso questa Icona: chi incontra lo sguardo di Maria, non lo può più dimenticare.

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