Giovedì 19 Dicembre 2024 San Nicola il Mirovlita

Oggi la Chiesa Ortodossa commemora San Nicola il Mirovlita, conosciuto in Italia, come San Nicola di Bari. Si tratta di uno dei santi più venerati ed amati nel mondo Cristiano, oltre che una delle figure, con gli studi più grandi nel campo dell’agiografia, anche se prima dell’VIII secolo nessun testo parla del luogo di nascita di Nicola, mentre tutti fanno riferimento al suo episcopato nella sede di Myra, che appare così come la città di San Nicola, da cui l’appellativo Mirovlita. Il primo a parlare del luogo di nascita di Nicola, fu Michele Archimandrita, intorno al 710 indicando in Patara, la città natale del futuro grande vescovo. Di Patara, come città natale di Nicola, parlano anche il Patriarca Metodio, nel testo dedicato a Teodoro ed il Metafraste e dunque la notizia, pur verosimilmente provenendo da una tradizione orale al riguardo può essere accolta con elevato grado di probabilità. Fra il X ed il XIII secolo invece, non è facile trovare santi che possano reggere il confronto con lui quanto a fonti agiografiche ed universalità e vivacità di culto. Nicola, nacque dunque a Patara, importante città della Licia, in Asia Minore, oggi posta nella provincia turca di Antalya, intorno al 260. Quel poco che conosciamo dell’infanzia di Nicola, ci viene riportato ancora, come per il dato del suo luogo di nascita, dal monaco greco Michele Archimandrita, il quale scrive, che Nicola, sin dal grembo materno era destinato a santificarsi e dunque già dall’infanzia, avrebbe cercato di mettere in pratica le norme che la Chiesa suggerisce a chi si avvia alla vita religiosa. Da alcuni episodi, quali la dote alle fanciulle e l’elezione episcopale, si potrebbe dedurre che i genitori, dei quali non si conoscono i nomi, fossero benestanti, se non proprio aristocratici.
Amante del digiuno e della penitenza, pare che Nicola, quando era ancora in fasce, già osservasse le regole relative al digiuno settimanale, che la Chiesa aveva fissato al mercoledì ed al venerdì. Sempre Michele Archimandrita infatti, narra che il bimbo succhiava normalmente il latte dal seno materno ma che il mercoledì ed il venerdì, proprio per osservare il digiuno, lo faceva soltanto una volta nella giornata. Man mano che il bimbo cresceva, dava segni di attaccamento alle virtù, specialmente a quella della Carità. Egli rifuggiva dai giochi frivoli dei bambini e dei ragazzi, per vivere più rigorosamente i consigli evangelici. Molto sensibile era anche nella virtù della Castità, per cui, laddove non era necessario, evitava di trascorrere il tempo con bambine e fanciulle. E proprio Carità e Castità, sono le due virtù che fanno da sfondo ad uno egli episodi più celebri della sua vita, al quale si sono ispirati gli artisti, specialmente quelli occidentali, per individuare il simbolo che caratterizza San Nicola. Quando si vede, infatti, una statua od un quadro raffigurante un santo vescovo dell’antichità, è facile sbagliare sul chi sia quel santo, che potrebbe essere Agostino, Ambrogio, Basilio, Biagio, Gregorio eccetera. Ed effettivamente anche in molti libri di alta qualità agiografica ed artistica si riscontrano spesso di questi errori. Il devoto di San Nicola, ha però un segno infallibile per capire se si tratta di costui o di uno fra questi altri santi. Un vescovo che ha in mano, o ai suoi piedi, tre palle d’oro, è, infatti sicuramente San Nicola, e non può essere in alcun modo un altro santo. Le tre palle d’oro, sono, infatti, una deformazione artistica dei sacchetti pieni di monete d’oro, che sono al centro dell’episodio della sua vita cui accennavamo e che adesso riportiamo. L’episodio si svolge a Mira, città marittima, ad un centinaio di chilometri da Patara, ove probabilmente Nicola coi suoi genitori, si era trasferito. Secondo alcune versioni, i suoi genitori erano ormai morti ed egli era divenuto un giovane pieno di speranze e di mezzi. Secondo altre fonti, invece, i genitori erano ancora vivi e vegeti e Nicola, dipendeva ancora da loro. In ogni caso, gli giunse voce, che una famiglia, stava attraversando un brutto momento. Addirittura il capofamiglia forse un benestante caduto in grave miseria, avendo paura di non poter offrire alle figlie un decoroso matrimonio, aveva pensato di farle prostituire allo scopo di raccogliere il denaro necessario per il matrimonio. Alla notizia di un tale proposito, Nicola, decise di intervenire e di farlo secondo il consiglio evangelico di + Matteo 6, 3 +:

“Quando fai l’elemosina non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra.”

In altre parole, voleva fare un’opera di carità, senza che la gente lo notasse e lo ammirasse. La sua virtù, infatti, doveva essere nota solo a Dio, e non agli uomini, in quanto se fosse emersa ed avesse avuto gli onori umani, avrebbe perduto il merito della sua azione. Decise perciò di agire di notte, quando avvolte delle monete d’oro in un panno, uscì di casa e raggiunse la dimora delle infelici fanciulle. Avvicinatosi alla finestra, passò la mano attraverso l’inferriata e lasciò cadere il sacchetto all’interno. Il rumore prese di sorpresa il padre delle fanciulle, che si svegliò, raccolse il denaro e con esso, organizzò il matrimonio della figlia maggiore. Vedendo che il padre aveva utilizzato bene il denaro da lui elargito, Nicola, volle ripetere il gesto. Si può ben immaginare la gioia che riempì il cuore del padre delle fanciulle, che aveva cercato invano uscendo dalla casa, di individuare il benefattore, per ringraziarlo. Con le monete d’oro, trovate nel sacchetto che Nicola, aveva gettato nuovamente attraverso la finestra, poté realizzare il sogno della seconda figlia di contrarre un felice matrimonio. Intuendo la possibilità di un terzo gesto di carità, le notti successive il padre cercò di dormire con un occhio solo, perchè non voleva che colui che aveva salvato il suo onore, restasse per lui un perfetto sconosciuto. Una notte, mentre ancora si sforzava di rimanere sveglio, arrivò il terzo sacchetto che, cadendo a terra, fece il classico rumore tintinnante delle monete. Stavolta malgrado il giovane Nicola, si fosse allontanato rapidamente, il padre si precipitò fuori riuscendo ad individuarne la sagoma e rincorrendolo, lo raggiunse e lo riconobbe come uno dei suoi vicini. Nicola però gli fece promettere di non rivelare la cosa a nessuno. Il padre promise ma, a giudicare dalla fama di Nicola, come uomo di grande carità, che si diffuse nella città di Mira, nei giorni successivi, con ogni probabilità non mantenne la promessa. Nel periodo in cui visse Nicola, intorno all’anno 300 anche se il Cristianesimo non era stato legalizzato nell’Impero e dunque non esistevano templi cristiani, le comunità, che si richiamavano all’insegnamento evangelico erano già notevolmente organizzate. I Cristiani, infatti, si riunivano nelle case di aristocratici che avevano abbracciato la nuova fede e quelle case venivano chiamate Domus Ecclesiae casa della comunità. Per chiesa, infatti, si intendeva, all’epoca, diremmo giustamente, la comunità cristiana e non il luogo di culto. E la comunità partecipava attivamente all’elezione dei vescovi che spesso erano quegli anziani addetti alla cura ed allo sviluppo della comunità stessa nella fede e nelle opere. Questi dunque divenivano capi della comunità e la rappresentavano nei concili, cioè in quelle assemblee, nelle quali i vescovi avevano il compito di analizzare e risolvere i problemi che si presentavano di volta in volta e quindi di varare norme che riuscissero utili ai Cristiani di una o più province. Solitamente venivano eletti vescovi dei sacerdoti, non mancano però casi e Nicola, è uno di questi, in cui l’eletto non fu un presbitero, ma un laico, che aveva abbandonato lo stato laicale, per consacrarsi al bene della comunità e che attraverso l’imposizione delle mani da parte dei vescovo riceveva la facoltà di celebrare l’Eucarestia, che lo distingueva dagli altri laici. Questa procedura non significava che il laico passava direttamente al grado episcopale, ma che in pochi giorni, gli venivano conferiti i vari ordini sacri, fino al presbiterato, che apriva appunto la via all’episcopato. In questo contesto procedurale, si svolse l’elezione a vescovo di Nicola. Essendo morto il vescovo di Mira, infatti, i vescovi dei dintorni, si erano riuniti in una Domus Ecclesiae, per individuare il nuovo vescovo da dare alla città. Durante la notte precedente alla riunione uno dei vescovi ebbe in sogno una rivelazione, secondo la quale, avrebbero dovuto eleggere un giovane, che per primo all’alba, sarebbe entrato in chiesa ed il cui nome era Nicola. Ascoltando il racconto di questa visione, gli altri vescovi compresero che l’eletto era destinato a grandi cose e durante la notte continuarono a pregare. All’alba la porta si aprì ed entrò Nicola. Il vescovo che aveva avuto la visione, gli si avvicinò e gli chiese come si chiamasse ed avuta la risposta, lo spinse al centro dell’assemblea e lo presentò agli altri vescovi, che furono tutti concordi nell’eleggerlo e nel consacrarlo seduta stante come Vescovo di Mira. L’episodio, forse avvenne diversamente, anche perché, come detto, all’elezione dei vescovi partecipava sempre il popolo. Ma l’agiografo narrando così l’episodio, intendeva probabilmente, esprimere il concetto che l’elezione di Nicola, era il risultato non di accordi umani, ma soltanto della  volontà di Dio, essendo egli stato consacrato vescovo da laico. Nel 303 l’imperatore Diocleziano, decise di cambiare la sua politica di tolleranza verso i Cristiani, scatenando verso di loro una violenta persecuzione, che durò un decennio, fino a quando, nel 313 gli imperatori Costantino e Licinio, riunitisi a Milano, si accordarono sulle sfere d’influenza politica di ciascuno, prendendosi il primo l’Occidente, il secondo l’Oriente emanando anche l’editto congiunto, che dava libertà di culto ai Cristiani. Sei anni dopo tuttavia, in contrasto con la politica costantiniana filocristiana Licinio, riaprì la persecuzione contro i Cristiani. Tornando a San Nicola, nelle fonti agiografiche anteriori al IX secolo, non si trova alcun riferimento alla persecuzione. Considerando però che il vescovo di Patara, Metodio, affrontò coraggiosamente la morte, appare probabile che anche Nicola, abbia dovuto patire il carcere ed altre sofferenze, certamente quella di vedere il suo gregge subire tanti patimenti. Alcuni scrittori, come il Metafraste, verso il 980 specificano, invece, che Nicola aveva sofferto la persecuzione di Diocleziano finendo in carcere, dal quale, senza abbattersi, il santo vescovo avrebbe sostenuto ed incoraggiato i fedeli a resistere nella fede ed a non incensare gli dèi, il che avrebbe spinto il prefetto della provincia a mandarlo in esilio. Autori successivi hanno, invece, voluto posticipare la persecuzione patita da Nicola, individuandola in quella di Licinio, piuttosto che in quella di Diocleziano. Lo storico bizantino Niceforo Callisto, per rendere più viva l’impressione di un Nicola vicino al martirio e con i segni delle torture ancora nelle carni scriveva:

“Al concilio di Nicea molti splendevano di doni apostolici. Non pochi, per essersi mantenuti costanti nel confessare la Fede, portavano ancora nelle carni le cicatrici e i segni, e specialmente fra i vescovi, Nicola vescovo dei Miresi, Pafnuzio e altri.”

L’imperatore Costantino, con la sua politica a favore dei cristiani, il 23 giugno dell’anno 318 emanava un editto col quale concedeva a coloro che erano stati condannati dalle normali magistrature di presentare appello al vescovo. Ma, mentre la Chiesa, con simili provvedimenti, si rafforzava nella società ecco che un’opinione sul come considerare la natura di Gesù Cristo come Figlio di Dio, se uguale od inferiore a quella del Padre, suscitò una polemica tale da spaccare l’impero in due partiti contrapposti. A scatenare lo scisma fu il prete alessandrino Ario (256-336), coetaneo di Nicola. Per risolvere la questione e riportare la pace l’imperatore convocò il grande concilio, a Nicea nel 325. Data l’ubicazione in Asia Minore, ben pochi furono i vescovi occidentali che vi presero parte, mentre quelli orientali furono quasi tutti presenti. Qualcuno ha voluto mettere in dubbio la partecipazione di Nicola, a questo primo ed importantissimo concilio ecumenico. Ma se è vero che il suo nome non compare in diverse liste, è anche vero che compare in quella redatta da Teodoro il Lettore, verso il 515 ritenuta autentica, da Edward Schwartz, considerato il massimo studioso di liste dei padri conciliari.
Una delle preghiere più note della liturgia orientale si rivolge poi a Nicola con queste parole:

“O beato vescovo Nicola, tu che con le tue opere ti sei mostrato al tuo gregge come regola di fede e modello di mitezza e temperanza, tu che con la tua umiltà hai raggiunto una gloria sublime e col tuo amore per la povertà le ricchezze celesti, intercedi presso Cristo Dio per farci ottenere la salvezza dell’anima.”

Questa antica preghiera viene solitamente collegata proprio al ruolo svolto da Nicola, al concilio di Nicea. Alla carenza di documentazione sulle sue azioni a Nicea, suppliscono inoltre alcune leggende, la più nota delle quali è quella del mattone. Dato che a provocare lo scisma era stato Ario, che non ammetteva l’uguaglianza di natura fra il Dio creatore e Gesù Cristo, il problema consisteva nel dimostrare come fosse possibile la fede in un solo Dio, se anche Cristo, era Dio. Nicola, considerando poi che la formula battesimale inseriva anche lo Spirito Santo, si preoccupò di dimostrare la possibilità della coesistenza di tre enti in uno solo. Per farlo prese un mattone, spiegando ai presenti la sua triplice composizione di terra, acqua e fuoco, che stava a significare come la divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, non intaccava la verità fondamentale che Dio, è uno. Mentre illustrava questa verità, ecco che una fiammella si levò dalle sue mani, alcune gocce caddero a terra e nelle sue mani restò soltanto terra secca. Ancor più nota a livello popolare, è la leggenda dello schiaffo che Nicola avrebbe tirato ad Ario. Secondo questa leggenda Nicola, acceso di santo zelo, udendo le bestemmie di Ario, che si ostinava a negare la divinità di Cristo, levò la destra e gli diede uno schiaffo. Queste però sono tutte leggende posteriori, poiché a parte la sua presenza in quel concilio, non si sa nulla di ciò che fece Nicola in quell’occasione. Certo è che fu dalla parte di Atanasio e dell’ortodossia altrimenti la preghiera che abbiamo riportato, non l’avrebbe invocato come:

“Regola di Fede.”

Il silenzio degli antichi agiografi sul ruolo di Nicola, a quel concilio si spiega forse col fatto che egli ebbe un atteggiamento diverso da quello del capo del partito cattolico ortodosso, Atanasio di Alessandria. Pur avendo un carattere altrettanto energico, Nicola, infatti, era più sensibile alla ricomposizione dell’armonia nella Chiesa. Non si fermava come Atanasio, alla difesa ad oltranza della Fede, ma tentava tutte le vie possibili per riportare gli erranti od eretici, nel grembo della Chiesa. Un atteggiamento che dovette apparire ad Atanasio, come troppo incline al compromesso e di conseguenza non degno di essere ricordato fra i difensori della fede. Questa “damnatio memoriae” da parte di Atanasio, che pure menziona molti vescovi, si spiega anche col fatto che quasi certamente Nicola, militava politicamente nel “partito” opposto. Mentre infatti Atanasio, parla di Ablavio, prefetto di Costantino, come “amato da Dio” l’antico biografo di Nicola, lo definisce “perverso e malvagio”. Questa cosa non ci deve sorprendere più di tanto, dal momento che anche oggi, persone degnissime militano politicamente su versanti opposti. Resta il fatto comunque che in Nicola, si incontravano il grande amore per la retta fede col grande amore dell’armonia nella Chiesa come riporta Sant’Andrea di Creta, il quale scrive:

“Come raccontano, passando in rassegna i tralci della vera vite, incontrasti quel Teognide di santa memoria, allora vescovo della Chiesa dei Marcianisti. La disputa procedette in forma scritta fino a che non lo convertisti e riportasti all’ortodossia. Ma poiché fra voi due era forse intervenuta una sia pur minima asprezza, con la tua voce sublime citasti quel detto dell’Apostolo dicendo: “Vieni, riconciliamoci, o fratello, prima che il sole tramonti sulla nostra ira”.”

Nonostante il riferimento ai Marcianisti, il vescovo Teognide, è quasi certamente il vescovo di Nicea, al tempo del Concilio, che pur essendo simpatizzante dell’eretico Ario, si lasciò tuttavia convincere ed alla fine firmò gli atti conciliari. Nicola, non era impegnato però soltanto nella diffusione della verità evangelica, ma anche nell’andare incontro alle necessità dei poveri e dei bisognosi. La parola della Fede, era, infatti, seguita dalla messa in pratica della Carità. Al tempo del suo episcopato a Mira, scoppiò una grave carestia, che mise in ginocchio la popolazione e pare che Nicola, prendesse varie iniziative, per sovvenire ai bisogni del suo gregge, con l’eco di queste che attraversò i secoli, rimanendo nella memoria dei Miresi. Una leggenda lo vede apparire in sogno a dei mercanti della Sicilia, suggerendo loro un viaggio sino alla sua città per vendere il grano ed aggiungendo che lasciava loro una caparra. Quando i mercanti si resero conto di aver avuto la stessa visione e trovarono effettivamente la caparra, subito fecero vela per Mira e rifornirono la popolazione di grano. Ancor più noto è l’episodio delle navi che da Alessandria d’Egitto, fecero sosta nel porto di Mira. Nicola accorse e salito su una delle navi, chiese al capitano di sbarcare una certa quantità di grano. Quello rispose che era impossibile, essendo quel grano destinato all’imperatore ed era stato misurato nel peso e che se fosse stato notato l’ammanco, avrebbe potuto passare grossi guai. Nicola, gli rispose che si sarebbe addossato la responsabilità ed alla fine riuscì a convincerlo. Il frumento fu scaricato e la popolazione trovò grande sollievo, non solo perché si procurò il pane necessario, ma anche perché arò i terreni e seminò il grano che restava e poté raccoglierlo anche negli anni successivi. Quanto alle navi alessandrine, queste giunsero a Costantinopoli e come il capitano aveva temuto, il tutto dovette passare per il controllo del peso, ma egli rimase meravigliato quando vide che il peso non era affatto diminuito, risultando lo stesso di quello misurato alla partenza delle navi da Alessandria. Questo miracolo è all’origine non solo di tanti quadri che lo raffigurano, ma anche di tante tradizioni popolari legate al pane di San Nicola. A Bari, anche per facilitarne il trasporto nei paesi d’origine, ai pellegrini che giungono nel mese di maggio vengono date “serte” di taralli, tenuti insieme da una funicella. Tralasciando molti altri miracoli, veniamo alla morte di Nicola ed al suo rapporto con Bari. Considerando la tradizione secondo la quale era già anziano al tempo del concilio di Nicea, con ogni probabilità, Nicola, morì intorno all’anno 335. Come della sua nascita, anche della sua morte non si sa praticamente nulla. Bisogna arrivare al 1087 quando una spedizione navale partita dalla città di Bari, si impadronì delle spoglie di San Nicola, che nel 1089 vennero definitivamente poste nella cripta della Basilica, eretta in suo onore. L’idea di trafugare le sue spoglie venne ai baresi per rilanciare politicamente la loro città, che a causa della conquista normanna, aveva perso il ruolo di residenza del catapano e quindi di capitale dell’Italia bizantina. La presenza in città, delle reliquie di un santo importante diventava così, non solo una questione di benedizione spirituale, ma anche una fonte di benessere economico, facendo di Bari una meta di pellegrinaggi.

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