La resa delle guide spirituali: il Natale svuotato e la spiritualità tradita

In questi giorni di festa, scorrendo i social, mi sono imbattuto in auguri di Natale, decisamente particolari. Non parlo dei soliti alberi addobbati o delle renne che saltellano nella neve, ma di un fenomeno davvero curioso, quello di guide spirituali di religioni diverse dal Cristianesimo ed ovviamente, fedeli di quelle confessioni, che si affannano a dire “Buon Natale” con immagini improbabili e direi, anche imbarazzanti. Dai pupazzi di neve sorridenti a personaggi di fantasia che non saprebbero distinguere il presepe da una ghirlanda, tutto è permesso in nome dell’inclusione religiosa. Viene da chiedersi il perché. Forse perché il Natale, ormai, non è più una festa cristiana.
È un fenomeno globale, una specie di Carnevale spirituale dove tutto vale purché si resti nel vago e non importa chi sei o in cosa credi, basta mettere una lucina, sorridere ed augurare “buone feste.” Eppure, non posso fare a meno di pensare che dietro tutto questo sfoggio di “universalità” si nasconda la più grande delle paure: quella di non piacere a tutti. Molte di queste guide spirituali, infatti, sanno bene che i loro fedeli, anche se buddisti, induisti od altro, il Natale lo festeggiano. Perché? Perché è bello, perché riempie le città di luci, perché i bambini lo adorano e perché, diciamocelo, è difficile resistere ad un rituale che, ormai, più che di sacro sa di magia. Così, per non scontentare nessuno, si scelgono immagini che non dicono nulla e frasi che non osano troppo, per auguri che fanno pensare a quei pacchi vuoti, ma magnificamente incartati, che si trovano nelle vetrine dei negozi. Splendidi fuori, ma senza nulla dentro. Sarebbe troppo difficile, forse, riconoscere che il Natale è, nel suo significato originario, la celebrazione della nascita di Gesù? Troppo rischioso dire ai propri fedeli: “Non è la nostra festa, ma se volete celebrarla, fatelo con consapevolezza”? Ed allora, meglio restare sul sicuro con un pupazzo di neve, un personaggio immaginario ed un “auguri” generico e via così. Perché chi osa parlare chiaramente rischia di sembrare fuori dal coro, e questo, nel mondo di oggi, sembra essere il peccato più grave. Come se non festeggiare il Natale, per un non cristiano, fosse non un segno di coerenza, ma di disprezzo verso il Cristianesimo. Ma proprio questa ambiguità è il vero dramma, perché una spiritualità che si piega alla moda del momento, che cerca di compiacere tutti, finisce per perdere sé stessa ed il Natale, così ridotto, diventa l’ennesima occasione per accontentare tutti senza dire nulla. È il trionfo dell’apparenza sulla sostanza, della forma sul contenuto e nel frattempo, le spiritualità orientali, con la loro profondità millenaria, vengono svuotate e piegate ad interessi mondani da guide spirituali incapaci di difenderle. Quella che dovrebbe essere una saggezza universale si trasforma, così, in un conformismo sterile, privo del cuore autentico che le ha rese grandi. A cosa servono, allora, queste guide spirituali se non hanno il coraggio di guidare? Un presepe sarebbe troppo. Ma un minimo di coerenza? Un briciolo di coraggio? Sarebbe davvero chiedere troppo? No, il Natale, così sminuito e ridotto al consenso, non è più una celebrazione. È solo un’altra decorazione, pronta ad essere riposta quando le feste finiscono. Ancora poche ore, e tutto tornerà al solito trantran. Forse, se qualcuno avesse il coraggio di fermarsi e riflettere, potremmo ancora riscoprire che dietro a quelle luci c’è, o almeno c’era, qualcosa di più grande. Ma, probabilmente, chiedo troppo: in fondo, anche il coraggio è una merce rara.

“Anam”

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